In estate la pesca in laghetto con acque profonde propone tecniche interessanti e alquanto diverse da quelle consuete. Molto spesso, i pesci di taglia maggiore si prendono in poco più di un metro d’acqua ed è una pesca da brividi, con qualche rischio da correre, se vogliamo i giganti del lago!
Siamo ormai in piena estate e l’acqua ha già ricevuto una buona razione di sole tiepido dall’inizio di giugno e ora fa già piuttosto caldo. La reazione dei pesci, in questo frangente, è quasi sempre e quasi ovunque la stessa: portarsi nei primi strati d’acqua, dove vediamo già incrociare le sagome scure.
Il fenomeno investe anche i laghi più profondi, quelli dove ci sono anche sette o otto metri d’acqua, anzi, è proprio qui che è possibile impostare delle tecniche studiate apposta per allamare dei bestioni che mettono a dura prova pescatore e attrezzatura.
Prudenzialmente, abbiamo detto “allamare” e non “catturare”, perché dopo la ferrata non è detto che il pesce si faccia portare al guadino se non dopo una battaglia senza esclusione di colpi, poiché questi pesci non si affrontano con attrezzature e fili da carp fishing, ma con terminali e canne da pesca al colpo perché non sono proprio così facili da convincere ad abboccare e l’adozione di un terminale dello 0,20 è già da considerare il limite massimo.
Perché vengono a galla?
Prima di entrare nel merito della tecnica di pesca, che di per sé è abbastanza semplice, cerchiamo di capire per quale motivo dei pesci tanto grossi e considerati “da fondo” salgono dalla sicura penombra e dal silenzio delle profondità fino alla luce accecante del sole del primo metro d’acqua.
Il primo motivo può essere dovuto alla scarsità d’ossigeno dei bassi strati d’acqua. Questo accade nei laghetti con bassa o nulla movimentazione del liquido. In questi laghi si ha una stratificazione dell’acqua con quella più densa, fredda e con pochissimo ossigeno sul fondo ed il pesce, dunque, sale per trovare una situazione migliore nella quale vivere.
Tuttavia, alla base di questa “migrazione” verso la superficie devono esserci anche altri fattori, perché questo accade anche dove la qualità del liquido è ottimale e dove esistono le macchine di movimentazione dell’acqua che evitano la stratificazione. Molto verosimilmente, la ragione principale è quella alimentare.
Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che nelle cave, piccole o grandi che siano, la densità del pesce è sempre molto superiore a quella che si ha in un ambiente naturale. I pesci, dunque, sono alla continua ricerca di cibo, dato che nelle bella stagione il fabbisogno alimentare aumenta proporzionalmente al loro metabolismo.
Gli esemplari più grossi, che sono poi anche quelli che hanno bisogno di mangiare di più, se non sono i primi ad approfittare del lancio di esche da parte dei pescatori, rimangono a digiuno e poiché la fame è brutta, fanno i prepotenti e se ne stanno a galla ingozzandosi come porcellini.
E’ un fatto noto a tutti i frequentatori delle cave e dei carpodromi che pescando a galla la taglia media delle catture è molto più elevata rispetto alla pesca effettuata sul fondo.
Pesci da selezionare
Pescando in competizione in cava o carpodromo, la scelta di un buon agonista deve essere quella di fare il punteggio più alto possibile, quindi, deve valutare quale sia la strategia più conveniente mediando tra numero di catture e taglia delle stesse optando per quella migliore.
Un pescatore che, invece, vuol passare una giornata divertendosi a combattere con dei pesci in modo sportivo, cioè con delle attrezzature sottodimensionate rispetto alla loro taglia, non ha le fisime e i problemi del primo e può permettersi di “sprecare” tutto il tempo che vuole.
Ecco per quale motivo occorre selezionare l’obbiettivo da raggiungere, cioè i pesci da prendere. In altre parole, occorre studiare con attenzione la strategia di pesca per “colpire” ciò che ci interessa evitando i pesci più piccoli e portare l’asticella più in alto possibile.
Per quanto detto sopra, occorre, innanzi tutto, agire a livello di esche e pasturazione eliminando ciò che può essere definito “ad ampio spettro “, cioè tutte quelle esche che possono interessare pesci di specie diversa e di taglia varia.
La prima di queste è il bigattino: non ne deve cadere nemmeno uno in acqua, pena l’arrivo di carassi, carpette e quant’altro vada a disturbare l’azione di pesca. Di mangiate ne dobbiamo vedere poche, ma devono essere di quelle giuste.
Da questo punto di vista, anche il mais non è troppo selettivo, come non lo sono vermi, orsetti, eccetera. L’esca che ci potrà salvare dall’arrivo dei “nani” è solo il pellet di almeno 8 mm di diametro.
Innesco e pasturazione
Sull’errata convinzione di troppi gestori di carpodromi che pensano che il pellet faccia male alle loro carpe, c’è una teoria da smontare e questa ce l’hanno molti pescatori: è la convinzione che il pellet sia un’esca da usare solo nella pesca sul fondo.
In effetti, il peso specifico di questa esca e la sua velocità di affondamento, autorizzano a pensare che possa essere impiegata solo nelle tecniche che prevedono l’appoggio dell’amo o di parte del finale a terra durante l’azione di pesca.
In realtà il pellet può essere impiegato con profitto anche nella pesca a galla, ma con modalità ben precise per quello che riguarda la pasturazione e la regola da osservare strettamente è quella di lanciare in acqua non più di quattro o cinque grani per volta e di farlo con una frequenza costante.
Quello che funziona con questa esca è il rumore che fanno i singoli grani all’impatto con l’acqua, ecco perché è consigliabile lanciarlo con una parabola piuttosto alta, così che il rumore di caduta sia più forte.
Il fatto di lanciarne solo pochi per ogni fiondata dipende dal fatto che in questo modo si dà ai pesci il tempo di mangiarseli entro il primo metro di caduta. Se le fiondate fossero abbondanti, si avrebbe una parte dei pellet in affondamento per tratti superiori ed i pesci lo seguirebbero verso il basso vanificando in parte l’azione di pesca a galla.
Ovviamente, la quantità di pellet da lanciare dipende in larga parte da quanto pesce abbiamo davanti. Questo si capisce dal numero di mangiate che vediamo: se abbiamo molte affondate del galleggiante, presumibilmente abbiamo molto pesce davanti e possiamo anche lanciare qualche pellet in più, ma se non abbiamo molte segnalazioni è bene dosare ciò che usiamo.
Anelli elastici
Tra le varie soluzioni che si impiegano per l’innesco del pellet, crediamo che la migliore in assoluto sia quella degli anelli elastici in silicone che assicurano una tenuta perfetta e un innesco rapidissimo. L’importante è scegliere la misura giusta per il diametro di pellet che si intende usare.
Quando si pesca a grandi distanze e il lancio della lenza è violento, per avere un innesco molto saldo si può applicare il pellet su un doppio anello che non disturba minimamente la mangiata del pesce. Tra l’altro, quando l’obbiettivo della nostra azione di pesca è l’amur, la brevissima distanza del pellet dall’amo come si ha usando gli anellini aiuta non poco a coronare con successo le rapidissime mangiate del pesce.
Le strategie di pesca
L’uso del mulinello è obbligatorio per due motivi. Il primo è che la pesca si fa ad una certa distanza da riva perché i giganti obiettivo della nostra pescata non si avvicinano più di tanto, dunque l’uso di una roubaisienne non ci permetterebbe di arrivare alla distanza minima necessaria. Inoltre, la difesa di questi pesci può essere violenta e, soprattutto nelle prime fasi, il mulinello permette di dare filo a sufficienza per contrastare le fughe precipitose verso il largo e verso il fondo.
Incappare in pesci dai 15 chili in su, come si vede dalle foto a corredo dell’articolo, è tutt’altro che difficile e non sappiamo fino a che punto valga la pena di farsi ridurre una costosa roubaisienne in un mucchio di rovine.
Mulinello obbligatorio, dunque, da abbinare o a una bolognese robusta, oppure a una canna all’inglese dotata di buona potenza.
Le lenze per la bolognese e l’inglese hanno una particolarità in comune: l’assenza assoluta di piombi sul filo. Come ho detto prima, il pellet ha un peso specifico sufficientemente elevato da permettere un affondamento piuttosto rapido.
Nel caso della bolognese, vi consigliamo un montaggio assai particolare, ma molto efficace, nato dall’esperienza fatta in riva a cave e carpodromi in estate. In pratica, si monta un galleggiante con una forma a fiasco al quale va applicata un’antenna a fischione all’interno della quale deve passare il filo. Inserita l’antenna sul “collo” si ottiene un galleggiante con il quale è impossibile fare dei garbugli perché il filo non può accavallarsi durante le fasi di volo. Un volo che non è troppo lineare, perché sulla deriva del galleggiante va avvolto del fusibile di piombo che lo tari quasi alla perfezione.
Tutto questo è necessario farlo perché le mangiate degli amur sono davvero difficili da prendere, molto di più di quelle delle carpe. Con in bobina uno 0,22, si monta un finale dello 0,20 con un amo del 10 e si parte con un metro e mezzo di fondo aggiustando in fase di pesca quando si è capito a quale altezza preferiscono stare i pesci.
Il montaggio per l’inglese è sostanzialmente diverso. Ci vuole un waggler che sia più corto possibile con portata da 14 a 18 grammi totalmente tarato dalla sua zavorra ad anelli. Si inserisce prima un porta galleggianti sul filo, poi uno stopperino in gomma che serve da salvanodo e si lega una girella all’estremità.
Infine, si mette un finale di circa un metro a cui si lega l’amo. A monte del galleggiante si fa il nodo di stop per regolare lo scorrimento del filo in modo da sistemare la profondità di pesca che, anche in questo caso, non va oltre il metro e mezzo.