Indubbiamente il mare è un qualcosa di immenso, una enorme distesa blu che si perde a vista d’occhio, eppure noi vogliamo insidiare una singola e ben precisa specie di pesce, e per di più in un periodo assai difficile come quello invernale. Non ci resta altro che capire, ed individuare gli habitat tipici e caratteristici dove la spigola regna sovrana.
Quali sono questi habitat? E perché? Queste sono le domande su cui interrogarci. Dobbiamo sapere che la spigola, a differenza della stragrande maggioranza dei pesci di mare, è un pesce eurialino, ovvero è in grado di sopportare notevoli variazioni della salinità dell’acqua. Questo, unito alla sua spiccata euritermia, ovvero la capacità di tollerare variazioni di temperatura notevoli, le quali possono oscillare tra i 2 ed i 32°C lo rende un pesce quasi unico nel suo genere, che gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “pesce del freddo”, proprio grazie a queste sue spiccate tipicità.
Pertanto le zone salmastre, cioè tutte quelle di transizione tra l’acqua dolce e quella salata, risultano essere siti ottimali per la ricerca di questo ben determinato tipo di preda, qui infatti solo cefali anguille e poche altre specie di pesce foraggio come ghiozzi e latterini riescono a sopravvivere. Abbiamo quindi ristretto molto il campo di ricerca, pertanto i porti-canale nella parte terminale dei corsi d’acqua, così come anche le foci naturali, risultano essere indubbiamente i posti migliori.
Non basta però essere certi della presenza di questo predatore, dobbiamo infatti essere in grado di capire in questi ambienti ben precisi dove e come la spigola entra in attività alimentare, visto e considerato che l’unico modo per entrare in contatto con essa, sarà l’esca che ricoprirà il nostro amo, e che quindi per realizzare la tanto agognata cattura dovremo metterci in condizione di trovare la nostra preda il più possibile ben disposta a ghermire l'insidia.
La tecnica di pesca che prenderemo in considerazione in questo articolo fa sempre riferimento alla pesca a bolognese, ma con alcune sostanziali differenze, in quanto non è previsto nessun tipo di pasturazione, saremo solo noi, una canna, un’esca, ed il canale.
Per molti pescatori, la pesca a bolognese è costituita da un binomio inscindibile, bolognese-bigattino, o meglio, un trinomio, bolognese-bigattino-pasturazione. Per tanti di noi infatti, è impensabile recarsi ad una battuta di pesca a bolognese senza pasturare, è molto diffusa la convinzione che se non pastureremo, non riusciremo ad attirare e catturare alcun pesce, mentre l'esperienza ha riscontrato che in alcuni casi e situazioni ben specifiche questo non è affatto vero.
La pesca a bigattino richiede molto spesso la ricerca di acque lente, con corrente assai moderata, al fine di riuscire a pescare su una più efficace pasturazione, questo comporta anche l’impiego di fili sottili e ami piccoli per poter alloggiare le piccole larve. Tutto ciò da un punto di vista tecnico non fa una piega, ma va contro ad uno dei principi cardine che caratterizza la spigola. Essa infatti è un predatore, e questo non dobbiamo scordarcelo mai, i migliori attacchi nei confronti del pesce foraggio vengono sempre portati a termine nei punti di maggiore corrente, dove latterini e piccoli cefali si muovono con difficoltà visto che il loro apparato natatorio non gli consente un nuoto agile in condizioni di corrente così gravose, pertanto, a dispetto di acque più lente sarà assai difficile per loro sottrarsi all’attacco deciso di questo predatore.
Facendo leva su questi ragionamenti cardine legati alla biologia ed alla tipicità di questa specie siamo riusciti a mettere a punto una tecnica di pesca specifica per affrontare e ricercare la spigola in ambienti salmastri caratterizzati da corrente sostenuta.
Questo tipo di pesca è talmente specifica che ci porta, a restringere ulteriormente i campi e gli spot dedicati alla sua applicazione. Escluderemo quindi foci naturali e porto-canali di grandi dimensioni, assai dispersivi, concentrando le nostre attenzioni su ambienti similari ai precedenti, ma di dimensioni assai più limitate. Nei porti-canali e nelle foci naturali di piccole dimensioni, non abbiamo sempre una larghezza dell’alveo omogenea, spesso, infatti, capita che specialmente nei tratti più a monte, ovvero quelli più lontani dalla foce, le dimensioni della sezione del canale si riducano notevolmente. Il verificarsi di questa condizione porta conseguentemente a forzare il passaggio di un determinato numero di metri cubi di acqua al secondo in uno spazio più ristretto, il quale porta ad un inevitabile aumento sia della velocità che della profondità dell’acqua.
Questi punti vanno considerati come “passaggi obbligati” dove il pesce è costretto a passare ed a stazionare nel momento in cui decide di entrare in attività alimentare, ed è proprio qui pertanto, che dovremo concentrare i nostri sforzi ed applicare la tecnica che adesso andremo a sviluppare più nel dettaglio.
Solo l'essenziale
Per effettuare questo tipo di pesca ci muniremo di una bolognese ad azione medio-rigida della lunghezza di circa sei metri, alla quale abbineremo un mulinello di taglia tremila caricato con un buon nylon dello 0.22mm. La grammatura del galleggiante, che avrà la forma di una pera rovesciata, varierà in funzione della corrente tra i quattro e gli otto grammi, e conseguentemente, anche il peso della torpille di piombo che andremo ad impiegare sarà strettamente dipendente dal peso del segnalatore di abboccata.
Riteniamo opportuno l’impiego di torpille che siano sempre di peso pari a due grammi inferiore rispetto al peso del galleggiante stesso. Ad esempio, se andremo ad impiegare un galleggiante da cinque grammi, la torpille da inserire sulla lenza ne dovrà pesare tre. Quest’ultima sarà fermata sulla lenza madre da uno stopper in gomma, il classico “chicco di riso” utilizzato per fermare il segnalatore quando effettuiamo la pesca con il galleggiante scorrevole.
Sotto di esso andremo a schiacciare un pallino del numero cinque, due del numero sei, due del numero sette e due del numero otto, questa piccola spallinata sarà più chiusa sotto alla torpille, e tenderà ad aprirsi leggermente via via che ci avvicineremo al nodo del finale. Nel complesso sarà distribuita su circa sessanta centimetri di lenza madre. In corrispondenza dell’ultimo pallino del numero otto ci sarà il nodo di giunzione tra lenza madre e terminale, il quale sarà un fluorocarbon dello 0.20 della lunghezza di sessanta centimetri, terminante con un amo del numero sei.
Come pescare
L’azione di pesca consisterà nell’effettuare lunghe passate nel tratto di canale prescelto, sia sotto banchina, che nel centro. Varieremo ciclicamente le linee di passata andando letteralmente a cercare il pesce, avendo cura, prima di iniziare a pescare, di sondare accuratamente il fondale del tratto in questione rimanendo staccati di pochi centimetri.
Se il fondale non sarà omogeneo, andremo ad utilizzare un fondo medio che ci permetterà di effettuare una corretta azione di pesca durante tutta la passata. Indipendentemente dal fatto che si peschi più a valle o più a monte del canale, essendo comunque in acque salmastre, l’azione di pesca non potrà prescindere dal conoscere i movimenti di alta o di bassa marea. Abbiamo riscontrato infatti, nelle recenti battute di pesca notturna in canale, che con l’avvicinarsi del picco di bassa marea, il pesce tende ad entrare in attività. Con la bassa marea il mare, in condizioni stabili, tende a “ricevere” più acqua dolce, questo aumenta la forza del canale, con un conseguente aumento della corrente.
Non è stato raro riscontrare in questi frangenti, che all’aumentare della corrente, aumentavano in maniera più che proporzionale le “cacciate”delle spigole a scapito del pesce foraggio, in maggiore affanno durante queste fasi a causa dell’aumento della turbolenza della corrente.
L'esotico sosia
L’esca principe con questa tecnica è indubbiamente il verme coreano. Grazie alle sue doti di resistenza all’amo, ed alla sua enorme vitalità una volta innescato, risulta essere l’esca più performante durante le battute di pesca in acque salmastre.
La spigola, infatti, riesce a percepire grazie alla sua linea laterale le vibrazioni emesse da tale esca, e spesso tende a scambiarla per una piccola anguilla, un tipo di esca fortemente adescante, ma che allo stesso tempo è notoriamente proibita, almeno per quel che riguarda gli stadi giovanili, i quali avrebbero le dimensioni ideali per essere innescati sull’apparato pescante in questione.
Ecco appunto che il verme coreano offre una valida alternativa, permettendoci di rimanere all’interno della legalità e delle norme che regolano la pesca in questo tipo di acque. Quest’ultimo verrà appena appuntato sull’amo avendo cura di forare il verme circa un centimetro sotto la testa, evitando così di ucciderlo e di perdere conseguentemente tutto il suo potere adescante.