Salve a tutti, amici trotaioli! Tra pochi giorni si tornerà su fiumi e torrenti per l’affascinante sfida dell’apertura e, rispondendo al quesito-dilemma più volte posto, faremo alcune considerazioni sulla difficoltà a catturare trote d’immissione, di taglia medio-grande, in acque ricche di vegetazione e di cibo naturale.
Pesci così, appaiono spesso poco aggressivi e palesemente svogliati, curando poco o niente lombrichi e camole che ostinatamente continuiamo a proporre… In realtà, soprattutto se la temperatura invernale è stata mite e la vita della piccola fauna si è fatta più frenetica, il problema della scarsità di abboccate va ricondotto, a volte, proprio alla qualità di un’acqua troppo vitale e ridondante di cibo.
Infatti, provate a pensare a quante larve, insetti e microrganismi di vario genere abbiano potuto veder passare trote abituate al solito, noioso mangime delle vasche d’allevamento. Evidente che, pasturate e rimpinzate con il cibo originale (e gustoso!) del fiume, le nostre amiche siano ben poco attratte dalle leccornie che proponiamo.
Per il pescatore la prima tentazione, vedendo sagome massicce stazionare provocanti, sarà istintivamente quella di proporre cibo consistente e voluminoso, ma spesso la strategia si rivela fallimentare e le trote disdegnano le esche, pur appetibili, così presentate.
Perché non provare allora a fare esattamente il contrario, con un boccone piccolo, più vicino alle dimensioni delle larve cacciate, un terminale lungo più del solito e un amo ridotto, adeguato all'innesco? E’ probabile che funzioni.
Il massimo sarebbe procurarsi un po’ di creature acquatiche, portasassi o animaletti del genere ma, in mancanza, risultati a volte sorprendenti, li ho ottenuti con la camola del mais (sesamia dei cereali) nelle misure più contenute.
La sesamia è un lepidottero di abitudini notturne, una falena, insomma. L’adulto è facilmente riconoscibile: una farfalla di 30-35 mm di apertura alare, con le anteriori colore ocra e le posteriori bianche.
Le sesamie hanno una livrea cerea-rosata con la testa scura e svernano dentro i fusti di mais in forma di larva per trasformarsi in crisalidi a primavera. Quando le trote nostrane abbiano imparato a mangiarle, non è dato sapere, è certo però che le piante dalle dorate pannocchie forniscono un’esca alternativa di tutto rispetto.
E’ abbastanza facile procurarsela, spaccando i fusti rimasti nel campo dopo la raccolta o lasciati sotto le tettoie delle cascine per accendere il fuoco. La presenza delle camole è inequivocabile perché i buchi, prodotti nello stelo del mais, denunciano inconfutabilmente la presenza dei simpatici animaletti.
Armati di un coltellino ben affilato, si procede a spaccare la parte iniziale del fusto e, di seguito, a completare lo spacco con le mani, guardando con attenzione per individuare i piccoli ospiti.
Avendo cura di non rovinarle, se raccolte delicatamente, le camole, chiuse in una scatola insieme a qualche frammento di midollo, si conservano benissimo e possono farci giugere all’apertura con una marcia in più sui concorrenti. Lasciando in riserva le larve più grosse (arrivano anche a 4 centimetri!) affidiamoci a quelle più piccole, di un colore diafano o vagamente rosato.
L’innesco può essere effettuato in modo simile a quello della camola del miele ma, più proficuamente, trapassando con la punta dell’amo solo la coda. Avremo un boccone libero, molto naturale nei movimenti e una minuscola creatura affidata alla corrente con estrema naturalezza.
Riguardo all’azione di pesca, teniamo presente che, con pesci che a volte sono decisamente svogliati, specialmente in acque alte a flusso sostenuto, le slamate vanno messe in conto sempre.
E' facile, infatti, che la trota aggredisca e si butti in corrente, magari pungendosi. In tal caso, aspettare prima di ferrare, non sempre da’ buoni risultati, perché spesso la signora, nel girarsi, si punge e, temporeggiando, non si favorisce più di tanto l'ingoio dell'amo, magari si peggiora la situazione.
Quando "spariamo la botta" il più delle volte ferriamo il pesce sul labbro, col risultato che la trota, aiutata dalla massa considerevole, dalla corrente e dalle evoluzioni che mette in atto, prima o poi allarga il forellino dell'amo o lo stesso uncino (se troppo delicato), e... buonanotte al secchio!
Soluzione al problema? Un amo non esagerato, in sintonia con le dimensioni dell’esca, ma più robusto del consueto e a gambo medio-corto, che possa essere ingoiato dalla trota e non cede quando lavora con solo la punta infissa a filo di labbro. Un terminale di ottima qualità, comunque compatibile con la misura dell’amo (vedo gente legare un amo del 12 su filo del 30!) e una ferrata data a tempo, rigorosamente perpendicolare alla corrente, possono farci vincere la partita.
Il resto può farlo un recupero tranquillo e senza smanie e... la signora bendata, che a volte si ricorda di noi! Provate “l’esca americana” sull’amo piccolo e, se proprio non va, lasciate la canna e passate al fucile subacqueo! Ciao e, anche per quest’anno, un cordiale ed affettuoso… in bocca alla fario!