Negli ultimi anni, l'argomento ”terra” è stato di assoluta attualità parallelamente alla diffusione a macchia d'olio del pesce alloctono per eccellenza: la breme.
Sì perché contrariamente a quanto si pensa comunemente, non è il siluro il pesce più “minaccioso” tra i vari alloctoni che hanno trovato terreno fertile di diffusione nel nostro Paese.
L'aspetto, la mole e il tipo di dieta fanno del baffuto gattone l'emblema dell'alloctonia ittica, ma se consideriamo la biomassa, il gradino più alto del podio spetta alla breme e il secondo al barbo europeo.
La presenza massiccia delle breme sui nostri campi di gara, lo abbiamo ribadito più volte, ha stravolto in pochi anni tecniche, pasture e comportamenti dei pescatori, costringendoli a trovare nuove strategie di attacco. Tra queste, quella che più di ogni altra è cambiata è quella relativa alla pasturazione.
Per quanto riguarda le pasture, per i pescatori italiani il passaggio dalle specie nostrane alla breme si è sviluppato in una sorta di adattamento a nuove composizioni e a modifiche, anche sostanziali, nelle strategie di pasturazione. Un passaggio obiettivamente non semplice, ma possibile in tempi “tecnici” abbastanza rapidi.
Sulle terre, invece, è regnata per anni la confusione più totale, almeno da parte di chi non aveva mai disputato gare in campi stranieri e, in particolare, in Francia e in Belgio. La confusione più totale a cui abbiamo fatto cenno sopra era dovuta ad un semplice fatto: alzi la mano chi, sui nostri campi di gara, prima di sei o sette anni fa, usava sistematicamente le terre per modificare l'azione meccanica di una pastura o, impiegate pure, per far giungere sul fondo particolari esche. Anche senza sforzarci troppo, di mani alzate ne conteremmo poche.
Di terra da pastura se ne usava, prima, ma l'unico scopo era quello di appesantire le palle con terre pesantissime e collanti per farle arrivare sul fondo prima possibile in acque molto profonde e correnti. Per chi ha una certa età, ricordiamo le gare nel Mincio a Pietole, dove si usava una terra così pesante e appiccicosa che una palla di pastura poteva essere assimilata ad una palla da cannone modello “galeone dei pirati”.
Ma oggi parliamo di altro, parliamo di terre che si aprono “a cronometro”, oppure che chiudono la pastura per tempi calcolatissimi, che conservano per tempi lunghissimi il fouillis vivo e vivace, chiare, scure, nere... eccetera.
Più che terre, verrebbe la tentazione di chiamarle pasture inorganiche ed è tale e tanta la complessità raggiunta che nel bagaglio tecnico di un agonista non può più mancare una profonda conoscenza di questo irrinunciabile elemento della pesca alle breme.
L'argomento ha raggiunto una tale popolarità che riceviamo spesso e-mail da giovani agonisti all'inizio della carriera che ci chiedono notizie sull'uso della terra pura come richiamo durante una gara specificando che nelle competizioni che praticano l'uso del fouillis è vietato.
Ecco perché abbiamo parlato di “pasture inorganiche”: vedendole usare dai più celebrati garisti in tante importanti competizioni, qualcuno si è perfino immaginato che una palla di terra possa far miracoli. Non è così. I pesci non mangiano la terra, ma quello che contiene, siano esche o pastura disperse all'interno.
C'è terra e terra
Le terre che troviamo in commercio non sono tutte uguali. Varia il colore, il peso specifico e la tendenza ad incollare o a disgregare. E' un settore complesso che richiede un solo requisito: la conoscenza diretta di ciascun prodotto.
Questo vuol dire una sola cosa e cioè che per essere sicuri di quello che si fa al momento di andare a pescare o nella preparazione di ciò che si deve usare in competizione, bisogna che la terra che abbiamo fra le mani sia perfettamente conosciuta e se ne siano acquisite tutte le proprietà.
Ciò vuol dire anche un'altra cosa e cioè che bisogna attivare una sorta di fidelizzazione ad un certo prodotto. In altre parole, quando si è scelto di usare un certo tipo di terra, nei limiti del possibile, bisognerebbe usare sempre quella, cambiare marca può significare trovarsi ad impiegare un prodotto che non è nemmeno lontano parente di ciò che conoscevamo. Facciamo un esempio.
Tutti, ormai, conosceranno la “Terra di Somma”. Bene, con questa dicitura troviamo sul mercato delle terre che non hanno niente a che vedere tra loro. La Terra di Somma “verace” è quella che proviene da una certa regione della Francia e che ha certe caratteristiche, come, ad esempio, una grana finissima, una forte tendenza a disgregarsi velocemente e la proprietà di formare una nube molto evidente in acqua. Come succede spesso, però, certi nomi si danno per estensione anche a prodotti abbastanza simili all'originale, ma solo abbastanza.
Le terre da pesca non sono come i vini o i formaggi, che hanno il marchio DOCG, per cui il dipartimento francese di Somme non rivendicherà mai il primato della sua terra vietando l'uso del suo nome per prodotti similari che provengono da migliaia di chilometri di distanza.
Ecco, dunque, che la terra di Somma del tal marchio avrà un certo colore e certe proprietà che possono essere anche notevolmente diverse da quelle della terra di Somma di un altro marchio, per questo è, non diciamo necessario, ma consigliabile imparare a prendere confidenza con un certo prodotto e, prima di cambiarlo, pensarci bene.
Il double leam
E' il sistema di preparazione della terra più impiegato dagli inglesi che ne fanno un larghissimo uso quando hanno bisogno di una terra che porti sul fondo il fouillis molto rapidamente, senza che la palla “fumi” durante la discesa e rilasci larve in caduta, ma che, allo stesso tempo si disgreghi rapidissimamente.
Per ottenere un perfetto “double leam” bisogna seguire delle regole ferree per non ritrovarsi con un secchio pieno di una poltiglia inutilizzabile. Lo scopo è quello di ottenere una terra non più omogenea come può essere quella appena setacciata, ma una massa composta da piccolissimi grumi della dimensione della comune quarzite che si utilizza per incollare i bigattini.
Questi grumi si agglomerano in modo più o meno tenace a secondo della pressione che si dà con le mani e il fouillis che vi si aggiunge non viene incorporato intimamente nella terra, ma rimane “imprigionato” tra le palline e si libera immediatamente non appena la palla arriva sul fondo senza che vi sia formazione di nubi e senza alcuna dispersione durante la caduta poiché i piccoli grumi di terra sono piuttosto tenaci e non si sciolgono facilmente.
Come si prepara
Le dosi sono rigidamente calcolate. Si prendono due chili di terra di Somma e si aggiungono 250 grammi di bentonite. Non si deve superare questa quantità altrimenti rischiamo di ottenere un incollaggio eccessivo.
Si mette il tutto in un secchio piuttosto largo e si mischia con le mani per ottenere una dispersione sommaria del collante nella massa di terra. Con un trapano munito di una frusta robusta si “frulla” il composto vaporizzando acqua con estrema attenzione.
Esagerare con l'acqua, anche di pochi millilitri, soprattutto verso la fine della lavorazione, può trasformare il composto in un infame pasticcio, quindi bisogna vaporizzare con calma smettendo immediatamente non appena la terra comincerà a “raggrumarsi” in palline di poco più di un millimetro di diametro.
Quando tutta la terra sarà ridotta a piccolissimi grumi, bisogna immediatamente fermarsi ed aggiungere il fouillis o altre esche nella quantità desiderata.
Una terra così può essere preparata anche il giorno prima della battuta di pesca e conservata in un sacco di plastica, per evitare la disidratazione, cercando di non schiacciarlo per mantenere le particelle libere l'una dall'altra.
In ogni caso, se dovesse accadere di trovare la terra un po' “appiccicata”, basta una bella setacciata con un setaccio a maglie larghe (quello da bigattini). E' un metodo raccomandabile con un fouillis non troppo vivace ed è formidabile con quello congelato che altrimenti non si libererebbe dalla terra normale se non dopo un lungo disfacimento della palla. Circa un quarto di litro di fouillis è sufficiente per la quantità di terra indicata.
I vantaggi dell'uso del “double leam” risiedono principalmente nella precisione con cui si pastura, perché le esche trasportate dalle terra si depositano sul fondo in un'area molto ridotta e si ha un minore rilascio in caduta, inoltre si hanno grossi vantaggi anche in termini di liberazione delle esche immesse che avviene in modo assai più progressivo rispetto a quanto accade con una palla di terra omogenea.
Cos'è la bentonite?
La bentonite è un'argilla naturale di colore grigio con spiccate caratteristiche colloidali ed è originata dall'alterazione di ceneri vulcaniche. I suoi usi sono molteplici e vanno dall'edilizia all'enologia e dalle lettiere per gatti alla farmaceutica.
Ha un forte potere collante ed ha il grande vantaggio di avere una notevole densità, quindi, aggiunta alla terra ne aumenta considerevolmente il peso specifico e la velocità della palla in affondamento.
La bentonite si utilizza anche pura per l'incollaggio del fouillis, realizzando delle palline, per avere una grande quantità di fouillis in un volume molto ridotto. E' quello che gli inglesi chiamano “simple leam” e che utilizzano principalmente in acque poco profonde dove l'immissione di una palla di terra grossa può creare un notevole disturbo.
In questo modo, invece, riescono a immettere forti quantità di esche con volumi minimi e disturbo trascurabile.
Il pongo
Questa è un'invenzione tutta italiana che, in un certo senso, si pone agli antipodi del double leam. Gli ingredienti sono gli stessi: terra e bentonite nelle proporzioni indicate prima, solo che qui si va ben oltre la formazione dei microgrumi di terra e legante.
Non occorre un trapano e una frusta, si può fare benissimo a mano, tanto, per il risultato finale, non occorre che ciò che si ottiene abbia particolari caratteristiche di omogeneità per permettere un disfacimento programmato della palla.
L'importante è di ottenere una sorta di plastilina (il pongo, appunto) nella quale incorporare del fouillis. In questo caso, al contrario del double leam con il quale si ha un rilascio rapido delle esche, quello che si vuole è una palla di terra compatta come lo stucco che si scioglie molto lentamente e dalla quale i pesci possono staccare, una per volta, le larve per contatto diretto.
Lo scopo è quello di tenere il pesce sul posto facendolo “arrabbiare” e facendolo lavorare se vuole ottenere il premio, cioè una rossa larvetta, ma poi, in realtà, non mangerà quasi niente dopo aver preso a feroci testate la tenace palla di terra.
Normalmente, questa strategia paga quando il pesce va stimolato senza farlo entrare in frenesia alimentare e quindi trova il suo massimo utilizzo durante le fasi di richiamo verso metà gara, ma c'è anche chi il pongo lo mette in acqua all'inizio e non mette fouillis nella pasturazione d'esordio e a volte, soprattutto quando il pesce mangia poco, è vincente.