Pastura da pesca. Guida all’Utilizzo

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Non sono solo gli ingredienti a rendere buona una , deve anche “lavorare” a dovere. Ma cosa si intende per “lavoro” di una pastura? Ed è possibile variare a nostro favore questo “lavoro” intervenendo a dovere?

La spiegazione di che cosa è il “lavoro” di una pastura richiede poche parole. Parafrasando certe regole matematiche, possiamo dire: “Il lavoro di una pastura è l'insieme dei comportamenti di una palla della stessa immersa in acqua”.

Detto così, sembra una cosa semplicissima, ma dietro a questa definizione c'è una lunga serie di variabili che dipendono sia dalla qualità della pastura, dalla preparazione della stessa, dai suoi componenti e da diversi fattori esterni come velocità dell'acqua, temperatura, eccetera.

La combinazione di tutte queste componenti ha come risultato il “lavoro” della pastura che deve sempre avere una caratteristica fondamentale, cioè che deve essere quello che vogliamo noi per arrivare allo scopo, cioè quello di portare i pesci davanti a noi e di farceli rimanere il più a lungo possibile.

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Questa, in breve, è l'essenza della pesca al colpo che si differenzia da altre tecniche come la pesca a mosca o lo spinning proprio per il fatto che deve essere il pesce a venire da noi e non viceversa.

In buona sostanza, il lavoro della pastura riguarda quasi esclusivamente gli aspetti meccanici che, spesso e volentieri sono un po' sottovalutati dai pescatori, soprattutto da quelli italiani, mente sia gli inglesi che i francesi ne fanno una vera e propria religione.

Possiamo essere in possesso della miglior pastura del mondo, ma se i suoi aspetti meccanici cozzano con le condizioni dell'acqua nella quale peschiamo, sarà inefficace o, nella migliore delle ipotesi, non ci darà i risultati che ci aspetteremmo.

Rendersi conto di come lavori sul fondo la nostra pastura non è assolutamente semplice, bisognerebbe immergersi in acqua e, con una maschera da sub guardare direttamente che cosa succede alla nostra palla adagiata sul fondo.

C'è comunque, un modo per avere qualche idea in merito e basta mettere una palla di pastura in un grosso secchio di acqua chiara, anche se le rilevazioni che ricaveremo saranno parziali, perché nel secchio mancano alcune delle componenti principali che interagiscono con la pastura, tra le quali l'azione erosiva della corrente e la natura del fondo.

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Comunque, piuttosto che niente... piuttosto! Per semplificare le cose, altrimenti finiamo in un ginepraio, diciamo che ci sono sei principi che determinano il lavoro di una pastura:

1) le qualità aggreganti o disgreganti delle farine usate per confezionare la pastura

2) la granulometria della pastura

3) il grado di bagnatura della pastura

4) il diametro della palla

5) la forza con cui abbiamo serrato l'impasto

6) l'aggiunta di esche vive o morte

Quanto sopra deriverà dall'osservazione di diversi fattori esterni quali la velocità e la profondità dell'acqua, il tipo di fondale su cui si poserà la palla e, naturalmente, la quantità e la qualità di pesce che speriamo di portare sulla pastura.

Il potere collante di una pastura

Per poter realizzare una pastura sufficientemente in linea con le caratteristiche dell'acqua in cui la getteremo, bisogna aver ben chiare le caratteristiche meccaniche di ogni singola farina che impiegheremo nella preparazione, tenendo sempre presente che esse devono rispondere anche a dei criteri gustativi; se per aumentare la velocità di sfaldamento di una pastura da breme aggiungiamo della farina di crisalide, otterremmo il risultato di avere una palla che si apre sul fondo in poco tempo, ma le breme scapperanno a pinne levate perché questo ingrediente non piace a questa specie.

Non è semplice destreggiarsi bene in questa materia, per questo, già molti anni, fa ricevetti da un grande amico francese, abilissimo nella preparazione delle pasture, una sorta di specchietto al quale attenermi nella preparazione delle pasture, secondo le caratteristiche del posto di pesca.

Non mi dette il nome delle farine, ma solo le percentuali di prodotti aggreganti e disperdenti, gli ingredienti vanno scelti, appunto, dopo aver valutato la specie ittica a cui sono rivolti.

Ed eccolo il famoso specchietto che mi è tornato utilissimo parecchie volte e che pubblicò su una rivista francese molti anni fa un agonista, ma è ancora attualissimo.

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Corrente veloce

Profondità fino a 1 metro

25% farine disgreganti

30% farine neutre

45% farine aggreganti

Profondità fino a 2,5 metri

20% farine disgreganti

25% farine neutre

55% farine aggreganti

Profondità oltre 3 metri

20% farine disgreganti

20% farine neutre

60% farine aggreganti

Corrente lenta

Profondità fino a 1 metro

30% farine disgreganti

40% farine neutre

30% farine aggreganti

Profondità fino a 2,5 metri

25% farine disgreganti

40% farine neutre

35% farine aggreganti

Profondità oltre 3 metri

25% farine disgreganti

35% farine neutre

40% farine aggreganti

Corrente nulla o debole

Profondità fino a 1 metro

50% farine disgreganti

30% farine neutre

20% farine aggreganti

Profondità fino a 2,5 metri

40% farine disgreganti

35% farine neutre

25% farine aggreganti

Profondità oltre 3 metri

30% farine disgreganti

40% farine neutre

30% farine aggreganti

Le farine

Rispettando queste percentuali, difficilmente vi troverete in difficoltà, naturalmente, se conoscete alla perfezione le proprietà di ciascuna farina utilizzata per realizzare la pastura.

Le farine che possiamo ascrivere a quelle aggreganti sono tutte quelle finissime derivate dalla macinazione della maggior parte dei cereali private dell'involucro del seme: farina di frumento, d'orzo o di altri cereali, belle, bianche e finissime sono delle vere e proprie colle, quindi vanno immesse nella pastura con estrema attenzione per non ritrovarsi con una vera e propria colla da manifesti.

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Va tenuto presente che il potere collante di queste farine decresce sensibilmente se sono del tipo integrale, cioè se la “buccia” del seme è presente nel prodotto finale.

Ai prodotti aggreganti, vanno anche ascritti la farina di arachide grassa, cioè quella ottenuta direttamente dalla macinazione dei semi di arachide, il pane grattugiato bianco, il PV1, il pain d'épice e la farina di biscotti del tipo a pasta frolla.

Si riconosce facilmente se una farina di biscotti proviene dai frollini, perché al tatto si presenta untuosa, quindi non si può sbagliare. C'è inoltre un ingrediente che talvolta viene usato erroneamente come prodotto disgregante e che, invece non lo è affatto. Mi riferisco alla farina di mais per polenta istantanea.

Questa è una farina precotta che, una volta bagnata, beve acqua a dismisura e, se lavorata con le mani, diventa un vero e proprio stucco, dunque, attenzione, perché se volete accelerare lo sfaldamento della pastura, dovrete usare la farina di mais cruda.

Tenete sempre presente che la cottura di molti ingredienti li fa passare da disgreganti a collanti. Tra gli ingredienti che si comportano in modo abbastanza neutro, quindi, né incollano, né disgregano, possiamo citare, tra i più comuni, tutte le farine di semi oleosi leggermente tostate (mai tostare troppo, si rischia che la pastura odori di fumo!), soprattutto se hanno un guscio duro, come la canapa, il lino e l'arachide tostati, il pane bianco tostato, la farina di fette biscottate, la farina di crisalidi e tutte quelle poco melassate.

Eccellente, da questo punto di vista, il tourteau di mais che è uno degli ingredienti principali di tutte le pasture da fondo. La farina di mais cruda, come detto prima, la crusca ottenuta da qualsiasi cereale, la farina di cocco, ma anche la terra sabbiosa e quella di somma possono essere indicate come ingredienti disgreganti.

Con un po' di pratica, si arriva a capire come comportarsi ogni volta nel comporre la pastura e una spia molto attendibile per capire se la vostra pastura “lavora” è costituita dall'avvistamento di finissime bollicine che compaiono in superficie, più facilmente visibili se siamo in acqua ferma. Quelle bollicine sono provocate dall'aria rimasta tra le particelle che costituiscono la pastura e che si liberano durante lo sfaldamento della palla sul fondo.

Se abbiamo usato una pastura poco collante o se non si sarà pressata troppo la palla, vedremo quasi subito le bollicine, diversamente appariranno in tempi proporzionalmente più lunghi rispetto all'uso di ingredienti collanti o a palle ben strette.

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La granulometria della pastura

Il modo di lavorare di una pastura risente molto anche dalla granulometria delle farine impiegate.

L'impasto di una pastura con una tessitura fine, rispetto ad un'altra fatta con gli stessi ingredienti impiegati nelle stesse percentuali, è notevolmente più legante e impiega più tempo a “lavorare” a parità di pressione delle mani. Questo dovrebbe essere facilmente intuibile: le particelle più fini aderiscono meglio le une alle altre e, soprattutto rimane meno aria imprigionata all'interno della palla.

Bisogna tenere in debito conto questo fenomeno quando desideriamo ottenere una pastura a tessitura fine partendo da una composizione a tessitura mista. Quello che facciamo di solito è setacciare a secco la pastura per poi macinare più fini gli ingredienti rimasti nel setaccio.

Bisogna per forza far questo per evitare di alterare gli equilibri tra ingredienti, perché può darsi che quasi tutto il pane rimanga fuori, così come uno o più altri ingredienti. Rimacinando questi “avanzi”, si rimette a posto la composizione, ma ricordiamoci che la pastura che otterremo è molto diversa, dal punto di vista meccanico, rispetto a quella di partenza.

Il grado di bagnatura

La quantità d'acqua con cui si bagna l'impasto è di estrema importanza.

Meno l'impasto è bagnato e più, di solito, si sfalda velocemente. Questo comportamento è dovuto a due fatti: il primo è che una pastura poco bagnata si compatta difficilmente e quindi trattiene molta aria all'interno.

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Il secondo è che gli ingredienti non completamente intrisi di liquido, ne bevono in abbondanza una volta che la palla è stata lanciata in acqua e, gonfiandosi, accelerano lo sfaldamento.

Dunque, più la pastura è bagnata e meno o, più tardi lavora? Beh, non è proprio così, perché una pastura eccessivamente bagnata si dissolve molto rapidamente, ma lavora anche assai male.

Da tutto questo discorso, comunque, si intuisce una cosa assai importante e cioè che se si dispone di una eccessivamente legante rispetto al tipo di situazione che abbiamo davanti, basta bagnarla meno del necessario ed essa lavorerà come una pastura di grado inferiore dal punto di vista della viscosità.

Due parametri paralleli

Il diametro della palla e la forza con cui serriamo l'impasto sono due facce della stessa medaglia.

Innanzi tutto sfatiamo la leggenda che dice che una bella palla grossa dura di più in acqua. E' esattamente il contrario: più grande è il diametro della palla, più si sfalderà velocemente e questo perché una palla di pastura molto grossa non riusciremo mai a comprimerla eccessivamente.

Magari saranno gli strati esterni che appariranno ben compatti, ma la parte centrale rimarrà piuttosto soffice.

Quindi, una volta arrivata sul fondo, la palla comincerà lo sfaldamento che all'inizio sarà abbastanza lento, ma non appena la “buccia” sarà caduta, lo sfaldamento della parte interna sarà velocissimo. Inoltre, su una grossa palla la forza della corrente avrà una presa maggiore perché espone una grande superficie.

Dunque, se vogliamo che la permanenza sul fondo della palla sia molto lunga, è bene che le palle che confezioniamo siano di diametro ridotto: riusciremo a compattarle meglio.

L'aggiunta di esche

L'aggiunta di esche può stravolgere completamente il lavoro meccanico di una pastura ed anche quella più legante si sbriciolerà addirittura in volo o al minimo contatto con la superficie dell'acqua se abbiamo sbagliato la quantità di esche immesse nell'impasto.

Le esche vive, in particolare i bigattini, sono dei veri e propri agenti disgreganti.

Per rendersene conto, basta provare a mettere qualche decina di larve in un pastura anche abbastanza legante e poi lasciare nell'impastatore una palla ben stretta. Vedrete che dopo pochi minuti presenterà delle crepe più o meno vistose dovute al movimento dei bigattini.

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Allora, se proprio l'aggiunta di esche è necessaria, o procediamo all'aggiunta di volta in volta, oppure, ancora meglio, si utilizzano dei bigattini “stirati” con il calore che non cambieranno la meccanica della pastura e se ne possono mettere di più rispetto ai vivi.

Anche i caster, pur essendo privi di movimento, agiscono da forti disgreganti. Per questo occorre impiegare con essi una pastura dall'impasto piuttosto tenace.

Alla pastura possono essere aggiunte anche altre esche come il fouillis e i vermi tagliati.

Pur agendo come “ingredienti” sleganti, lo sono in misura molto inferiore ai bigatti vivi, ma ricordate sempre di aggiungerli al momento della preparazione della palla perché queste due esche muoiono quasi istantaneamente al contatto con la pastura ed il fouillis “bruciato” dalle farine ha una pessima abitudine, quella di galleggiare, dunque, massima prudenza!

Adattarsi alle situazioni

La pesca, per fortuna, non è una scienza esatta. Talvolta, a pesca, 2+2 fa 4, ma molte altre volte fa 5, oppure 3. Chi è capace di capire quando non fa 4, prende di più e si diverte di più, se va per diletto, o si piazza meglio se va in gara.

Ad esempio, dare per certo che in un'acqua profonda ci vogliono delle palle dure come sassi per pescare bene, può non essere il massimo della furbizia.

Se in quel punto c'è un bello strato di fango morbido sul fondo, buttare delle palle ben strette e, magari, appesantite anche con della terra per arrivare giù velocemente, può equivalere a non pasturare: quelle palle sprofonderanno nel fango e non ci sarà un pesce capace di trovarle.

Quindi, prima di decidere cosa fare, meglio cercare di interpretare al meglio le informazioni che l'acqua ci manda o che sono facilmente desumibili con dei semplici gesti.

Nel caso precedente, saggiare il fondo dopo aver applicato all'amo una sonda molto pesante che ci comunica la presenza di fango con il suo sprofondamento, potrebbe evitarci di giungere alla fine della giornata pensando che la nostra pastura non sia piaciuta ai pesci, mentre, molto più semplicemente, non l'hanno nemmeno potuta annusare.

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